martedì 22 febbraio 2011

رسالة مفتوحة بشأن دارفور

Lettera aperta sul Darfur


Raccontando il Sudan, per non dimenticare e per continuare...

Cari amici,

 il mio ultimo viaggio in Sudan, in occasione del referendum per
l'indipendenza del Sud Sudan, é stato più duro e, in certi momenti,
pericoloso rispetto ai precedenti. Ho passato dei giorni con un gruppo
di ribelli che mi ha anche fornito delle foto (ne allego una per farvi
capire di che parlo...) che testimoniano i crimini in Darfur.
 Ho avuto la possibilità di parlare con i sopravvissuti degli ultimi
attacchi delle forze militari del governo e ho capito, ancora una
volta, che per quello che ha subito e continua a subire, questa gente
- donne violentate e mutilate prima di essere uccise, ragazzini
bruciati vivi nelle scuole, interi villaggi distrutti - non sarà mai
pronta alla pace se prima non verrà loro garantita giustizia.

Le sensazioni che mi ha lasciato questo viaggio sono contrastanti.

Come avevo scritto nel novembre del 2009, quando con l'intergruppo
Italia Darfur andammo a Zam Zam camp, non ho trovato volti scavati
dalla fame, - come nel 2005 e nel 2007 -persone disperate che
non avevano neanche la forza di chiedere aiuto. Stavolta non sono
state le migliaia di persone che pelle e ossa vagavano per i campi
profughi con gli occhi sbarrati dal panico o le testimonianze delle
ragazze violentate che mi hanno raccontato il terrore degli stupri
subiti a segnarmi profondamente. Questa volta è bastato il
‘contesto’... Il degrado umano dilagante, l'assenza di ogni
barlume di speranza negli sguardi, la delusione trasformata in
rassegnazione di non poter cambiare uno ‘status’ incancrenito, che
ti porta a perdere dignità e futuro.

La situazione alimentare è migliorata ma la distribuzione del cibo e
l’assistenza umanitaria sono sempre a rischio. E la gente non ce la
fa più. Questa esistenza ai limiti della sopravvivenza e del decoro,
hanno ‘inciso’ un marchio indelebile sulla loro pelle.

Quando bambini di quattro – cinque anni si azzuffano e calpestano i
fratellini di pochi mesi pur di strappare dalle mani di
chi li porge quaderni e matite che probabilmente non useranno mai,
comprendi che per loro il presente e il futuro sono segnati da
abbandono, disinteresse e violenza.

E allora ti chiedi... ha senso andare avanti? Forse chi mi chiede che
senso ha continuare a occuparsi del Darfur, un posto così lontano e
senza speranza,e mi consiglia di usare meglio le mie energie - a
cominciare dai miei colleghi giornalisti mai così numerosi in Sudan -
ha ragione? Poi mi torna in mente una vecchia massima che dice: non
interessa al mondo chi del mondo non si interessa... E allora ogni mio
dubbio svanisce: fino a quando io continuerò a occuparmi di Darfur,
qualcuno a cui interesserà quello che ho da dire ci sarà sempre. Se
anche la mia voce si zittisse, allora sarebbe più
'facile' ignorare questa tragedia. E così smetto di pormi domande, la
risposta è dentro di me ed è una convinzione ferma.

 Ignorare quella gente per me non è possibile, perché il loro dramma
è il mio dramma, la loro battaglia è la mia battaglia, la loro
speranza e la mia speranza!

Spero sia anche la vostra...

Con affetto,

Antonella Napoli

Presidente di Italians for Darfur

martedì 15 febbraio 2011

martedì 1 febbraio 2011

قطة

Screenshot


Genova, 20 luglio 2001.